COMUNIONIONE E CRESIMA
I riti della
prima comunione e della cresima si svolgevano secondo le regole
dettate dall’autorità ecclesiastica e non si registrano, al
contrario di quanto avviene per altri momenti significativi
dell’esistenza, quei “riti di passaggio” così caratteristici della
cultura popolare.
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La ragione
di questa assenza è da attribuire verosimilmente al fatto che si
tratta di cerimonie introdotte ex novo dal Cristianesimo, per
cui non si è verificata alcuna sovrapposizione con le tradizioni
preesistenti, come invece avvenuto per momenti della vita quali
la nascita, il matrimonio, la morte. |
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ASSIGURARE SU COJU ' - IL FIDANZAMENTO |
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Il fidanzamento
è la fase di preparazione per la formazione di un nuovo nucleo
familiare che nella nostra cultura del passato veniva però inteso
come un vero e proprio contratto; infatti l’espressione “assigurare
su coju”, fa chiaramente capire come il legame di coppia da quel
momento dovesse essere considerato istituito e reso quasi
indissolubile. I rituali, un tempo piuttosto rigidi e complessi, si
sono sempre più semplificati, per cui ora si possono rilevare solo
frammenti di quelle antiche usanze.
Se vi era già un accordo o i giovani si conoscevano e si
frequentavano, i genitori dell’uomo si recavano “in die nodida” (un
giorno di festa importante) a chiedere la mano della ragazza. Si
presentavano dicendo “sernus bennidos a chircare una rosa” (alcuni
riferiscono che precedentemente si diceva “seniius bennidos a
chircare una anzonedda”). I familiari della ragazza rispondevano:
“bintrade e abbaidade si ch~st”. Dopo essersi seduti si facevano
entrare a turno le figlie lasciando per ultima la prescelta. I
genitori del ragazzo non riconoscevano ovviamente le prime e solo
alla fine dicevano: “ecco, custa est sa rosa chi sernus chirchende”.
Dopo aver concesso e ottenuto la mano della futura sposa, le
famiglie concordavano i prossimi incontri ufficiali: la domenica
nella quale svolgere la cerimonia del fidanzamento (“assigurare su
cojiu”), quando l’uomo entrava per la prima volta nella casa della
ragazza in forma ufficiale e quella in cui la nuova coppia si
manifestava a tutto il paese recandosi alla messa principale.
Se invece non vi erano rapporti fra le famiglie, si chiedeva ad un
parente o a un amico di curare le trattattive. Nel paese vi erano
anche delle persone esperte (“su/a trattadore/a”) che si
interessavano di cercare una moglie a chi non avesse altre
opportunità per farlo. Se l’accordo si trovava, i genitori
procedevano come descritto prima.
Se due giovani iniziavano una relazione segreta e quindi senza il
consenso dei familiari, era probabile che dei buontemponi pensassero
fosse opportuno rivelarla ai compaesani predisponendo “su caminu de
sa paza” ovvero cospargendo di paglia il percorso tra le abitazione
dei due malcapitati. La stessa cosa si faceva anche per denunciare
un rapporto irregolare; per es. fra persone sposate oppure tra una
donna e un religioso (tale usanza era seguita in quasi tutti i paesi
del circondario). |
Pare che
nel secolo scorso fosse in uso una prova particolarmente
difficile che il suocero imponeva al pretendente della figlia
per verifìcarne l’abilità: gli si chiedeva di fare a pezzi un
ciocco di fico stando sotto il letto a baldacchino (“a bogare e
pare una raighina de figu sutta su lettu a pabaglione”). La
prova era abbastanza difficile in uno spazio libero da
impedimenti dove la mazza poteva roterare e battere con forza
sulla zeppa, figurarsi in uno spazio così angusto. Non era
facile ricevere il consenso se non si avevano mezzi sufficienti
e non si era consideati capaci di affrontare la vita. Tale
aspetto è evidenziato chiaramente nella seguente poesia ironica
che si riferisce a una richiesta di fidanzamento:
“Duru duru durundella, bonas dies missegnore, so ‘ennidu a bos
chiscare, si mi podes coiuare, cun caschi fiza o parente, ca già
so de bona zente, e de bonu parentadu, babbu meu est’istadu,
massaiu e triulone, de sos mezus segnores, chi ch’esistin in
Sardigna, dademila sa pizzinna, dademila chena dude, mi l’abbrazzo
nuda nuda, cun pena suffiziente, tenzo ainu molente, zegu e
isorijadu, tenzo puru unu domone, chi cando est bene serradu, b’intrat
su cane olende, sos muros nde sun ruende, SOS sorighes b’an
postu gherra, duru siat e durundella”.In passato l’augurio
migliore che si potesse fare ad una ragazza era quello di
fidanzarsi e naturalmente di sposarsi al più presto; infatti una
ragazza nubile era destinata a diventare la serva di casa o nei
casi peggiori ad essere buttata fuori. Per questo motivo la
mamma, mentre culla la figlia, canta per lei previsioni di
matrimonio; appena più grandicella, la pettina amorevolmente
mentre canta: “ispiza ispiza pilu de oro, s’innamoradu ti benzat
a domo, a domo ti benzat s’innamoradu , ispiza ispiza pilu
doradu, babbu tou est andadu a battire su randadu, a batti-re sa
handela, ispiza ispiza pilu de seda”. Naturalmente ogni paese ha
le sue varianti: a Cheremule: “ispiza ispiza pilu de pratta, 505
ammorados ti benzant affaca”; a Mores: “ispiza ispiza pilos do
oro, s’innamoradu ti miret in piatta, ispizaispiza pilos de
pratta”.
Le ragazze si preoccupavano di interrogare il cuculo (vedi la
parte dedicata ai “pronostici”) o di inviare una coccinella a
cercar loro un marito recitando la filastrocca: mariarosa andada
a Bosa, e mi battit una rosa; andat a Casteddu, e mi hattit un’aneddu”
Per far passare il singhiozzo alle bambine si dice: “tres
tacullidas, tres margaridas, tres orientes, s’innamoradu siat
presente”; ed anche questa fllastrocca è un augurio di
matrimonio. |
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- ' A CHE GIUGHER SU
CORREDO ' - TRASFERIMENTO DEL CORREDO NELLA CASA DEGLI SPOSI |
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La
domenica precedente il matrimonio si portava il corredo alla casa
degli sposi seguendo un preciso rituale che non doveva essere
variato, in quanto dal suo SvOlgiITìefltO si potevano trarre auspici
positivi o negativi.
11 corteo, composto prevalentemente da persone giovani e sane, si
doveva mettere in cammino solo mentre il suono delle campane
avvisavano la popalazione che stava per iniziare la messa principale
(“sas allegrias de sa missa ‘e santos”) e doveva seguire un ordine
preciso sia durante il percorso sia nell’introdursi nell’abitazione.
Per primo arrivava quello col corredo femminile e subito dopo quello
col corredo maschile.
Il corredo della sposa veniva portato da una teoria di persone che
si apriva con tre bambini: il primo portava una gallina bianca viva,
il secondo una ciotola piena di sale con tre uova sopra ed il terzo
un’altra ciotola con semola ed altre tre uova; questi entravano per
primi nella nuova abitazione. Seguivano tutte le altre persone con
il vino e l’olio, la rocca e la lana da filare (in particolare “sa
cannuia a roella” aveva un fiocco di lino che la sposa doveva filare
subito dopo il matrimonio per ottenere “su filu san” che sarebbe
stato utilizzato per “ligare s’imhiligu” del primogenito), tutto il
corredo con lenzuola, coperte, servizi da pranzo, abiti, cesti di
pane liscio e decorato, e via via tutto il resto compresi gli
attrezzi per il camino e quelli della cucina. Il corredo dello sposo
era disposto in questo modo: apriva il corteo un bambino con una
ciotola di semola e tre uova sopra; seguivano gli altri che
portavano ben in vista una serie di capi di abbigliamento: il
costume completo, il cappotto di orbace “su cabbanu mannu”, su
cabban Li e su cabbaneddu”, “sos bentones”, mutande, magie di lana “frinellas”;
ma anche attrezzi da campagna: “bertulas, saccheddos, pannuzzos”,
sacchi per il grano, ecc.
Tutto il corredo veniva ornato con steli di pervinca e con chicchi
di grano. La semola posta nelle ciotole era un augurio all’uomo
perché portasse tanto grano (po attire trigu a domo); il sale era un
augurio alla sposa perché fosse sempre saggia e buona padrona di
casa (su sale po l’ischire bettare in sa padedda - nella giusta
dose). Quando la casa degli sposi era lontana da quelle dei
familiari e/o il corvedo da trasportare era tanto, si utilizzavano i
carri a buoi addobbati per l’occasione (si impitaiana sos carros
infioccados).
Dopo aver sistemato il corredo nella casa, il mercoledì successivo,
il letto nunziale veniva preparato da donne sposate e nubili in
buona salute; le vedove, le orfane e le persone malate non dovevano
partecipare e, nel caso fossero entrate nella casa, dovevano evitare
di toccare il letto. Si considerava invece di buon augurio che i
bambini vi facessero sopra le capriole.
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Quando il
letto era finito vi si spargeva del grano misto a petali di
fiori e si ornava con ramoscelli di pervinca: pare che tale
pianta sia stata considerata sacra al matrimonio anche dagli
antichi romani. Al centro si disponeva un cuscino dove venivano
spillati i regali in danaro; per primi spillavano il loro regalo
i genitori dello sposo, seguiti dalla famiglia della sposa;
questi due regali venivano chiamati “su ascu” ed erano sempre
guarniti con un fiocco colorato; subito dopo deponevano i regali
gli altri parenti e le persone presenti. In seguito l’usanza è
stata abbandonata e i regali in danaro sono stati raccolti in un
piatto dove si appoggiavano le buste subito private del
contenuto per evitare spiacevoli sparizioni o inopportuni
commenti sull’importo. Oltre ai regali in danaro si inviavano
anche prodotti della campagna oppure oggetti di prima necessità
che venivano chiamati. “su presente mannu” se si trattava di
cose di un certo valore.
Vale la pena di riportare quanto scrive, nel suo libretto “Usi
natalizi, nunziali e funebri”, l’autore Francesco Poggi nel 1897
a riguardo del trasporto del corvedo: “In Dorgali è tradizionale
costume regalare alla sposa, il giorno delle nozze, una bella
rocca, sulla quale sono incisi molti cuori trafitti da spade.
Otto giorni dopo il matrimonio (attenzione! Non otto giorni
prima!), la donna fa il suo ingresso solenne nella casa del
marito trasportandovi anche il proprio corvedo. Il corteo è così
composto: precede tutti quanti la coppia felice; l’uomo porta le
due candele che servirono per la cerimonia del matrimonio; la
donna reca in mano la rocca sudetta, sul cui pennecchio è
infisso un fuso, nell’altra una gallina bianca, dono assai in
uso per le nozze, in tutto il centro dell’isola. Dopo i coniugi,
vengono i loro genitori, i parenti, gli amici e alcune donne che
portano in mostra i doni ricevuti dalla sposa affinchè la gente
possa ammirarli. Seguono quindi su carri, adorni di festoni, e
tirati da buoi, pure infiorati e infioccati per l’occasione, le
masserizie, grano, orzo, vino, qualche pecorella, qualche
maialetto ed altri simili quadrupedi rappresentanti la dote
della sposa. Giunta la coppia nunziale sull’uscio di casa, la
madre dello sposo abbraccia e bacia ripetutamente la nuora,
prende dalle mani di lei la conocchia, ne incomincia il filo e
la consegna di nuovo alla sposa, che deve terminare, sul
momento, il tratto di filo avviato. Questo filo viene poi
religiosamente conservato per legare l’ombelico al bambino
primogenito, che in vita sua, così almeno si dice, non soffrirà
mai dolori di ventre, nemmeno facendosi delle scorpacciate di
fichi. Felice lui!”.
Da questa testimonianza si rileva, oltre alle interessanti
notizie sul corteo, l’antica usanza del “filu sau” riportata più
sopra anche per Thiesi.
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