" SU ISPOSALIZIU " - IL MATRIMONIO
Poco prima di
uscire di casa i genitori benedicevano il figlio (o la figlia)
inginocchiato davanti a loro (a volte partecipava anche la balia “sa
mammatita”); le formule utilizzate variavano in base alla fantasia
personale o al ricordo di esperienze acquisite, come si può
riscontrare dagli esempi raccolti:
• “In nomen de su Babbu, de su Fizu, de s’Ispiritu Santu e de sa
Corte Celestiale, cantas renas b’at in mare eppas salude e fortuna,
e fattu ‘erettu bazi in bon’ora comente est andadu Deus a iscola”;
• “Saludu, paghe e fortuna cantu bos pregades, no eppedas mai male
po cantu pades”;
• “In memoria de su Babbu, de su Fizu e de s'ispiritu Santu, in
nomene de totta sa Corte Celestiale, paghe, cuncoldia e bona foltuna,
cant’abba b'at in mare apedas saludu, efizos cantu nde benint si
leant”;
• “Saludu, paghe efoltuna, cantu bos pregades, no eppedas mai ma/cs
po cantu campades”;
• “Deo ti benez~o in nomen de su Babbu e de su Fizzu e de sispiritu
Santu, (chi eppas) paghe cuncoldia e bona fortuna, tottu sas
paraulas malas chi asa nadu siant lebias che fozas de rosa”;
• a Bulzi: “andade unidos in su dolore e in sa gioia comente sos
apostulos Pedru e Paulu accumpagnados da sa benedizione de su
Signore, sezis iniziende una vida noa, e Deus bos benei~hede
augurandobos ogni bene in nomine de su Babbu, de su Fizzu e de
sìspiritu Santu”;
• a Nulvi: “ti beneigu Jìzu caru, po cantos buttios de latte t’appo
dadu, postu in su meu sinu, appas bene de continu, cantu girat sole
e luna, appedas bona foltuna, in paghe unidos vivedas senza proare
affannos, appedasfizos bonos, frminas e malcios e dinari in
calascios, cun tanta felizidade bazi a affidare, in ora bona comente
est andadu Cristos a iscola”.
Le benedizioni sono paragonabili a veri e propri componimenti
poetici per cui, benchè mantengano una certa linea comune, sono
sempre diverse, Il prof. Enzo Espa ha pubblicato anni fa un libretto
che riporta alcune benedizioni da lui raccolte nei nostri paesi;
vale la pena di dargli uno sguardo per rilevare quanta poesia e
quanto amore vi siano profusi. Qui si riporta quella che la signora
Maria Tola impartì alla figlia Vittoria a Thiesi nel 1968: “Bos do
sa beneiscione, sa chi deit Deus a Salomone, cantu girat su sole,
appedas passos de bona foltuna, cantu girat sa luna, appedaspu~tos
de bonafoltuna, rampu bellu de bide, beneigo sajanna chi bintrades e
bessides, rampu bellu de oro, benezgo sa domo, rampu bellu de olia,
beneigo sa domo cun tota sa cumpagnia; bazis sant-e in ora bona, sa
paghe de sos doighi apustulos regnet in sos coros bostros”.
Il promesso sposo si recava quindi, accompagnato dal padre (in sua
assenza da un fratello più grande o da un congiunto) e dagli
invitati, a casa della prescelta, dove aspettava sulla porta che lei
uscisse; quindi insieme, ma separati, si dirigevano verso la chiesa
badando di evitare che il percorso si sovrapponesse a queello fatto
all’andata. Alla fine del 1800 il rituale prevedeva che si
accompagnasse la sposa in chiesa dove aspettava con le altre donne
l’arrivo del futuro coniuge che il corteo accompagnava subito dopo.
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All’uscita
di casa e durante il percorso, i parenti, gli amici e i
conoscenti lanciavano sugli sposi del grano, misto a petali di
fiori e foglie verdi, quale augurio di prosperità e felicità,
prelevandolo da un piatto di ceramica; terminato il grano il
piatto veniva sbattuto per terra con forza perché si rompesse
(se questo non accadeva bisognava ripetere il gesto
immediatamente sino a frantumarlo). A Sorso il grano veniva
raccolto e seminato.
Il mese di luglio era considerato nefasto per i matrimoni e
infatti si diceva “triulas, triuladu” o “chi isposat in triulas
chi essit triuladu”. Anche il mese di Agosto non era consigliato
in quanto: “Austu, austidu”. In questi mesi era vietato anche
traslocare o fare altri cambiamenti importanti.
Pare che gli sposi mettessero dentro la scarpa una moneta doppia
per evitare di essere “ligados”. Ciò perchè qualcuno contrario
alla loro unione poteva fare la malia di “sa ligadura” per
impedire agli sposi di consumare il matrimonio (anche se si
volevano bene) e quindi di procreare. Il canonico Francesco
Liperi Tolu parla della “legatur~’ nel suo libro su Osilo del
1913 (“Un genere frequentissimo di maleficio consiste nella così
detta - legatura -“) e spiega che consiste nel rendere
inefficace una qualche facoltà del nemico (ad esempio la potenza
sessuale) o nel rendere innocuo un animale rapace (volpe,
aquila); e nel primo caso si suggerisce di mettere una moneta
d’argento nella scarpa dello sposo (da Almanacco Scolastico
della Sardegna). Come si vede la testimonianza corrisponde
all’usanza rilevata a Thiesi.
Quando si sposava un vedovo o una vedova (fiudu o fiuda) il
popolo organizzava “sa correddada” ovvero le persone si
riunivano davanti all’abitazione degli sposi e indirizzavano
loro canzoni di scherno accompagnate da un frastuono assordante
prodotto con tutto ciò che poteva fare rumore; in particolare si
suonava una conchiglia priva dell’elemento iniziale “sa corra
che , oltre ad essere simbolo e sinonimo delle “corna”, è
l’elemento che ha dato il nome alla manifestazione.
Nel 1993 è stata rilevata a Borutta l’ultima “correddada” della
zona. Ideata dai giovani del paese, l’iniziativa ha poi
coinvolto tutta la popolazione. I cittadini hanno rastrellato le
discariche raccogliendo la ferraglia reperibile per sistemarla a
rimorchio delle auto e delle moto che, transitando davanti
all’abitazione degli sposi, creavano un rumore assordante. Nei
camion e per terra si tambureggiava con bidoni o grandi
contenitori vuoti facendo rimbombare suoni da apocalisse;
un’auto, provvista di una luce gialla intermittente, attivava a
tratti una sirena. Le persone non motorizzate utilizzavano
quello che avevano reperito a casa: campanacci, vecchie pentole,
bidoni, trombe, mentre due avevano le tradizionali “corras”.
Pare che una persona anziana si sia lamentata del fatto che
mancassero gli asini, a suo parere elemento indispensabile in
questo rituale; altri gli hanno fatto notare che i tempi
cambiano e che è necessario adattarsi. Il corteo è partito da
Bonnanaro, paese della sposa, ed ha raggiunto Borutta, dove gli
sposi si erano sistemati. Qui ha fatto il giro del paese ed ha
eseguito una serie di passaggi davanti alla casa interessata. La
coppia ha aperto la porta di casa e, dopo aver sistemato dei
tavoli nella via, ha offerto un invito alla popolazione festante
che non rinunciava comunque ad indirizzare verso gli sposi
battute salaci e motti di spirito come la tradizione richiedeva.
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Quando una
persona è in fin di vita nessuno si deve mettere ai piedi del letto
perché è il posto destinato ai parenti morti; tale usanza forse era
motivata dal fatto che si riteneva che poco prima di morire si
vedessero i parenti defunti. Sono tante le testiinonianze che
riportano il ricordo dei loro cari che, in punto di morte, dicevano
di vedere i propri genitori, il marito o la moglie o altri cari
defunti. Si considerava utile levare la fede e gli orecchini ai
moribondi perché pare potessero ritardarne il decesso.
Si racconta che le persone che durante la loro esistenza avevano
rubato (secondo altra versione, avevano bruciato) un giogo di legno
(“su juale”), al momento dcl decesso non riuscivano a morire e
restavano in agonia finchè non si metteva loro un giogo sotto il
cuscino. In genere durante la veglia funebre le donne, in
particolare le parenti strette, cantavano versi di lode e di
rimpianto della persona defunta. Questi canti, detti “sos attittidos”,
a volte venivano eseguiti da persone estranee (“sas attittadoras”),
le quali quasi sempre svolgevano tale funzione dietro co m penso.
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I familiari
stretti del defunto non uscivano di casa nei giorni
immediatamente successivi al triste evento, per cui erano i
vicini di casa ed i parenti che provvedevano a fornire loro il
cibo. Quest’usanza, detta “su piattu”, a Siligo si chiama “s’
acconostu” e a Bonnanaro “su piattu de s’acconostu” che si
traduce letteralmente: “il piatto della consolazione” (le prime
due indicazioni sono quindi abbreviazioni della terza che è
completa).
Quando si rientra da un funerale ancora oggi si sconsiglia di
andare in una casa diversa dalla propria perché vi si porterebbe
la morte. Per evitare ciò si va prima in un negozio, un bar, a
casa propria o in chiesa.
La morte non interrompeva completamente i contatti fra il
defunto e i familiari che si incontravano nel sonno se vi era
qualcosa di importante da comunicare: “appo bidu a babbu in su
sonnu e mi at ..d....”; a mamma appo dimandadu si...
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- BENEDIZIONE E DIFESA
DELLA CASA |
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Quando
si iniziava la costruzione di una nuova casa nelle fondazioni si
mettevano una immagine della Madonna di Seunis e alcune monete. A
Pozzomaggiore durante la demolizione di alcune case sono state
trovate delle corna di daino murate nelle fondazioni; pare che
servissero a proteggere l’edificio e chi lo abitava. A Giave sono
stati rinvenuti tre neri ciottoli di fiume tondeggianti e lisci al
di sotto di alcune pietre piatte che costituivano la base di un
focolare costruito al piano superiore sull’assito di un solaio: si
direbbe un rituale di buonaugurio per la casa e la famiglia. Se si
andava ad abitare in una casa nuova era necessario iniziare il
trasloco di venerdì, come testimonia il detto popolare “chenabura
durat”; ma bastava anche portarvi qualche oggetto, per es. una
sedia. Quando si entra in una abitazione per la prima volta è
necessario dire frasi augurali; la più diffusa e comune è “Deus ch'intret”
alla quale i padroni di casa rispondono “ch’intret sempre”. A
protezione della casa si portava un po’ di acqua santa dalla chiesa,
vi si appendeva in camera da letto e dietro la porta d’ingresso la
palma benedetta nella domenica che precede la Pasqua; |
Sotto il
letto, o in altro luogo riparato, si metteva “su titone beneittu
" fatto accendere nel fuoco del sabato santo. Tra le preghiere
per allontanare i temporali (vedi), una contiene la richiesta di
salvare la propria casa ma anche quelle del vicinato; vi era
infatti la consapevolezza della necessità della forza
dell’unione e della socialità per superare le avversità. Si
riporta ora un curioso rituale detto “a cojuare s’annaemele”,
che aveva lo scopo di allontanare dalla casa una donnola che vi
si era installata procurando una serie di danni. Mia madre, che
mi ha fornito questa informazione, assicura sull’efficacia del
rito in quanto eseguito positivamente a casa di nonna Spanedda.
La famiglia che doveva liberarsi dell’animale nocivo individuava
una persona del vicinato, non sposata, qLlindi provvedeva ad
attivare il rituale dicendo: “si ses malciu bae a domo de...
(nome della nubile) si ses femina bae a domo de... (nome del
celibe)”.
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